IL CONTADINO

 

 IL CONTADINO

Il lavoro del contadino è sempre stato molto pesante anche se oggi le nuove tecniche lo hanno alleggerito. In tempi non molto lontani gli uomini venivano abbrutiti da una immane fatica che durava 365 giorni all'anno, con 14016 ore di lavoro e una ricompensa modesta e spesso limitata al vitto quotidiano per la numerosa famiglia. La classe agricola era divisa in "burgisi", "mitatieri" e "iurnatara" (piccoli proprietari, mezzadri e lavoratori alla giornata). I primi possedevano poche salme di terra (una salma corrispondeva a 16 tumoli, circa quattro ettari, poiché il tumolo misura mq. 2361) e prendevano in affitto parte dei feudi dei baroni, che erano proprietari di sconfinati latifondi. Anche oggi, leggendo qualche antico atto di vendita, si incontrano nomi altisonanti di principi che testimoniano la nostra realtà prettamente feudale, esistente ancora sino al secondo dopoguerra. Li "burgisi" facevano coltivare il loro feudo a li "iurnatara" che a grande schiera lavoravano l'intera giornata. I più fortunati di li "iurnatara" diventavano persone di fiducia e di famiglia dei "burgisi" e avevano il lavoro assicurato per tutto l'anno e con il lavoro la mancia, cioè quella quantità di frumento che serviva per sfamare la famiglia per tutto l'anno. La maggior parte invece all'alba doveva alzarsi, scendere in piazza, dove i padroni "addruvavanu" (affittavano) gli uomini imponevano il prezzo della giornata di lavoro. Chi aveva l'asino o il mulo caricava la zappa e "li viertuli" con dentro un pezzo di pane, qualche oliva e "lu bummuliddru" per l'acqua e partiva per la campagna percorrendo anche diversi chilometri altri spesso venivano caricati dai carretti dei padroni e altri dovevano affrontare la strada a piedi. All'alba dovevano tutti trovarsi sul posto di lavoro. Il lavoro era sempre lo stesso; si preparava il terreno con l'aratro per la semina e dove non era possibile bisognava zappare a mano. Seguiva poi la semina che durava qualche mese e subito dopo, appena spuntavano i primi germogli, bisognava "zappuliari" per togliere le erbacce. E cosi lavorando e "taliannu lu celu" (aspettando la pioggia) passava il lungo inverno. Con giugno iniziava la mietitura. Spesso venivano i mietitori di altri paesi per spartire con i già affamati contadini del luogo il lavoro. La lotta era al coltello. I mietitori dormivano per la strada e solo quando trovavano chi li prendeva potevano avere un giaciglio più comodo "la paglialora" (pagliera). Nelle famiglie più generose le donne la sera cucinavano la pasta a questa povera gente che rientrava distrutta da una giornata di fatica sotto il sole cocente. Quando si lavorava in terre molto distanti dai paese si rimaneva fuori casa per settimane. La mietitura iniziava dalle zone calde del litorale e terminava sulle montagne del nisseno e dell'ennese dove la maturazione avveniva più tardi. I mietitori camminavano a piedi con le scarpe dette"Zappitte". Essi erano organizzati a gruppi di otto o nove persone. Alcune mietevano il grano, altre raccoglievano li "iermiti" (covoni) che messi assieme costituivano la "gregna". Poi si 'strauliava" cioè si trasportavano li "gregni" che venivano disposte a "timugna" (catasta) pronti per essere "pisati" (trebbiate) nell' aia da una coppia di muli che pestavano le spighe girando attorno accompagnati dal canto del contadino. Alla raccolta del grano seguiva "l'abbacchiatura" e "la smallatura" delle mandorle e poi la raccolta delle olive. La vendemmia concludeva il ciclo di lavoro.

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